Era quasi sera e Ser Wilbur percorreva una delle strade senza nome, a nord, in compagnia di Rick.
Non era un gran pensatore, Rick. Aveva passato la sua adolescenza in prigione.
Trasferito a Nigmar all’età di otto anni, aveva assistito al caos ed era sfuggito all’epidemia.
Era stato Wilbur ad aiutarlo a evadere. Così Rick aveva deciso di seguirlo ovunque, per fargli da scudiero o qualcosa di simile. Ma Ser Wilbur non era un vero cavaliere. E non aveva nemmeno un cavallo. Già tanto che i pezzi dell’armatura restassero uniti e che la spada non si fosse spezzata.
Ma suonava così bene, quel “Ser”. Ser Wilbur il Senzacasa. Perché lui era un errante, e qui su Mars aveva tutto ciò che occorreva per farsi una nuova vita, all’insegna dell’avventura, della scoperta, della fama, della gloria e…
«Buonasera, signori.» Non li aveva visti sbucare dai lati della strada. Erano in quattro.
«Come mai da queste parti?» domandò uno di loro, il più brutto del gruppo.
Rick cominciò a tremare visibilmente.
«È una libera camminata questa» spiegò Wilbur. «Occorre un motivo per camminare?»
«Ma certamente no!» fece uno dei quattro, sghignazzando.
«Vogliono camminare!» replicò un altro. «Non saremo mica noi a impedirlo, vero?»
“Ancora briganti” pensò seccato Wilbur. Forse al soldo di Deimos?
«Ma magari…» ipotizzò di nuovo il più brutto della banda, «magari avete con voi qualcosa di valore, o sbaglio?»
«Qualcosa che brilli» continuò un altro, «per esempio, che ne direste di aprire gli zaini?»
Rick se la stava chiaramente facendo sotto. Wilbur lo osservò mesto, poi tornò a fissare i briganti e sbuffò.
«Ehi» fece uno di loro sguainando un coltello. «Che ti sbuffi?»
Wilbur fece cadere in terra lo zaino. «Speravo in qualche incontro interessante. Magari un Basilisco. O una Viverna. E invece…»
«E invece?»
«Vedo solo quattro idioti che hanno poco cara la vita.»
Il primo affondo giunse da destra, ma aveva già estratto la spada lunga ‒ deviò il colpo con una tale violenza da sbilanciare l’avversario e, cambiando traiettoria, spezzò il fianco di un altro brigante. Questi aveva a malapena sollevato un randello, che già crollava al suolo con le budella sparpagliate.
«MUORI!» urlò un altro, lanciandosi in avanti con un forcone. Wilbur schivò quel colpo maldestro e parò ancora una volta da destra. Aveva già scorto, con la coda dell’occhio, il quarto che si posizionava alle sue spalle. Attese un secondo e mezzo per effettuare un’ampia spazzata, ruotare su se stesso e colpirlo alla testa. Sperava di decapitarlo, invece lo tranciò all’altezza degli occhi. Peccato, si disse. Un taglio imperfetto.
Uno dei due rimanenti cominciò a indietreggiare, ma l’altro, il più brutto, tentò di colpirlo per la terza volta con la spada corta. Wilbur parò uno, due, tre colpi e gli mozzò un braccio. Una scia di sangue gl’imbrattò l’armatura. Lo finì con un affondo, perché ne aveva abbastanza di quel brutto volto. L’altro se l’era già data a gambe.
Poco più tardi, mentre ripuliva la spada e l’armatura, Rick si fece coraggio e gli pose domande che, probabilmente, non aveva mai osato fare.
«Ser… dove avete imparato a combattere così?»
Wilbur strofinò un panno lungo la lama d’acciaio. Si fece pensieroso.
«Forse non volete parlarne. Chiedo scusa.»
«No, Rick. È solo che non lo ricordo.»
Perché Wilbur aveva passato molto tempo a Nigmar, nelle prigioni. E nelle prigioni, accadeva qualcosa. Le sostanze, i trattamenti, gli esperimenti dei suoi carcerieri… Una sorta di amnesia.
«Non ricordo quasi nulla del mio passato. Sosaria è solo un nome lontano. So che provengo da quel mondo, ma non ho idea di quanto tempo sia passato e di cosa facessi allora. Non ricordo nemmeno perché sia finito in prigione, sai?»
Rick era stato trasferito per un furto. Uno stupido furto. Ma lui, che in momenti simili ricordava tecniche di combattimento letali e sapeva difendersi da una banda di briganti, chi o cosa era stato? Che cosa aveva fatto, per finire in prigione?
«E questo vi fa soffrire, Ser Wilbur?»
Ci pensò un attimo. Poggiò il panno sporco di sangue.
«No» concluse. «Ora sono libero. Questa è la mia nuova vita, e posso ancora scriverne le pagine vuote. Siamo su questo mondo, e siamo gli artefici dei nostri percorsi.»
E così si accamparono, mentre la luna e le stelle iniziavano a illuminare l’ignoto.
E chissà quanti altri, nello stesso momento, stavano per cominciare una nuova avventura.