Era andato tutto storto. Così tremendamente storto, che per diversi minuti, dall’esplosione del Portale, Barnalf non aveva saputo come agire. Minuti che erano parsi eterni ‒ e tutte le sue conoscenze, tutte le decadi di studi presso le Scuole di Moonglow, tutta la sua lucidità, che fine avevano fatto?
A un certo punto, però, forse richiamati dal panico circostante, dalle urla agonizzanti dei feriti o chissà cos’altro, i suoi sensi avevano ripreso a funzionare. E Barnalf si era dato un gran da fare, assistito dai pochi medici e da chiunque potesse fare qualcosa in una circostanza simile.
Erano stati amputati degli arti. Si erano praticate medicazioni con l’ausilio della magia. Barnalf aveva anche visto molti corpi ormai privi di vita, e altri morenti e irrecuperabili. Ma aveva fatto tutto il possibile per garantire la salvezza ai propri compagni di sventura.
Con il passare delle ore, mentre alcuni perivano e altri si aggrappavano pietosamente alla vita, mentre il campo medico veniva allestito all’esterno della prigione, a ridosso di una grande breccia nelle mura, anche l’adrenalina era calata. E i pensieri, quelli peggiori, avevano cominciato ad affluire nella mente del mago.
“È colpa mia” continuava a ripetersi. “Colpa mia se la runa è andata distrutta, e se il Portale ha generato quell’onda distruttiva.”
Il capitano Miller continuava a osservarlo, taciturno, mentre al suo fianco Ser Larson, con fare sprezzante, lucidava la propria spada. Come se nulla fosse accaduto.
“Nessuno lo dice, ma tutti sanno di chi è la colpa.” Barnalf abbassò lo sguardo. “Soltanto mia.”
Un rumore di zoccoli ‒ molti zoccoli ‒ interruppe i suoi pensieri.
In lontananza, una macchia di figure avanzava sulla pianura grigiastra, sollevando un gran polverone. Sembravano cavalieri, e venivano incontro a loro.
«Capitano?» disse un soldato lì accanto.
Miller non rispose, ma il suo volto tradì qualcosa che stava a metà fra la paura e la speranza.
Quando l’ignota milizia raggiunse le mura della prigione, alcuni di quei soldati smontarono da cavallo, ma non quello che stava in testa al gruppo. Indossava una corazza rossa e un elmo piumato.
«Sosaria?» domandò l’uomo al comando.
«Sosaria» replicò Miller. «Cos’è successo qui?»
L’uomo in armatura rossa scambiò qualche parola con un altro cavaliere lì accanto, fece dei cenni, poi si rivolse di nuovo al gruppo di Miller, a tutti loro: «Dovete seguirci».
«Dove?» domandò ancora Miller.
«Basta domande. Prendete le vostre cose e mettiamoci in marcia.»
«Ci sono dei feriti» s’intromise Barnalf. «Non possiamo lasciare il campo medico adesso.»
«I feriti ci seguiranno» disse sgarbatamente quell’uomo, «sempre che vogliano vivere. Da adesso, seguirete questi ordini senza lamentarvi. È chiaro?»
Tacquero tutti, compreso il capitano Miller. Solo Ser Larson stava per dire qualcosa, ma fu zittito da un gesto del capitano.
«Bene. C’è un po’ di strada da fare. Fossi in voi, non farei scherzi.»